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vano denaro o ne promettevano. Fino dal 1653 i gesuiti profittando delle angustie di lei, col mezzo del loro preposito generale Cosimo Nichel, profersero nella loro povertà cui tenevano carissima 150,000 ducati veneziani (750,000 franchi) da esborsarsi in due mesi colla tacita condizione di essere ricevuti in Venezia; ma la Repubblica, non sedotta da una somma di cui aveva un pressantissimo bisogno, la rigettò. Due anni dopo fu assunto al ponteficato Fabio Chigi da Siena detto Alessandro VII, i nipoti del quale ambiziosi di sollevarsi allo stato di principi, e sfoggiare in magnificenze, spiavano tutte le vie per trovar denari. Di che accortisi i gesuiti, fecero larghe proferte al pontefice così per usarne a servigio della sua casa come per sovvenire la Repubblica. Allora cominciarono nuove trattative per restituire que’ frati in Venezia, secondate anco dalla Francia, le quali dopo molte difficoltà furono conchiuse a 19 gennaio 1657. Poco dopo uscì il secondo volume della Istoria pallaviciniana di cui il primo era già comparso l’anno antecedente. L’autore che si persuadeva essersi fatto un merito colla Repubblica perchè nel suo libro l’aveva cuccoveggiata colle più lusinghiere adulazioni e l’accarezzava allora promettendole gran cose a nome del pontefice, chiese che la sua Opera potesse essere ristampata a Venezia. Ma i Dieci la misero al bando, e statuirono pene rigorosissime a chiunque la introducesse nello Stato. E perchè la Corte di Roma non prendesse l’iniziativa, il Senato ne fece, per Angelo Corrario suo ambasciatore, lamentanza al papa. Erano scorsi omai sette lustri da che Frà Paolo era mor-