Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/349

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capo xxx. 341

che dovette usare sforzi per inghiottire qualche cosa. Accorsero i frati, furono chiamati i medici, si ebbe sospetto di veleno; ma e’ non si lasciò scoraggire e volle mettersi alle usate occupazioni. Il giorno seguente (10 genn.) prese medicina; ma senza effetto; e benchè il male peggiorasse a vista d’occhio, il mercoledì (11 genn.) volle tuttavia levarsi, uscire di camera, pranzare nel refettorio; ma non potè attraversare i corridoi e le scale se non appoggiato e tutto tremante. Continuò ad ammettere le solite visite, a conservare il suo buono umore, a dir facezie, a ragionar di tutto, fuorchè del suo male. Se non che, andato a trovarlo il vecchio suo amico Pietro Asselineau, il Sarpi gli disse candidamente che quella era la sua ultima malattia.

(12 genn.) Il giovedì mattina, fatto chiamare il Padre Amante Buonvicino priore del convento, pregollo che lo raccomandasse alle orazioni de’ confratelli e gli portasse l’Eucaristia. Gli consegnò tutte le cose concesse a suo uso, e la chiavetta di un armadio dove stavano quei mille ducati cui serbava pel suo viaggio in Levante. Un altro armadio chiuso, dove stavano carte appartenenti allo Stato, volle che non fosse toccato. Si fece vestire, si confessò e passò il resto della mattina facendosi leggere da Frà Fulgenzio e da Frà Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata negli Evangeli, interrompendo tratto tratto per farvi pie riflessioni sopra. Indi il priore accompagnato processionalmente da tutti i frati, al mesto e monotono canto delle litanie, gli portò il sacro viatico, cui ricevè seduto sul letto, e con tanta divozione che a tutti cavò le lagrime.