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l’effetto del male, e forse anco degli unguenti irritanti e delle teriache cui usarono quei medicanti che accorsero in frotta al letto di Frà Paolo, come le pecchie di Omero alle olle di latte».

Non potrei in buona regola chiudere la biografia di un frate celebre senza parlar di miracoli. Un miracolo è sempre una bella cosa, ed è la pietra di paragone con cui si conoscono i santi di buona lega.

I miracoli di Frà Paolo non sono come quelli di San Francesco Saverio che navigò dall’Indie al Giappone sul suo ferraiolo, o di Sant’Antonio che in pochi minuti corse da Lisbona a Padova volando per aria, o di San Simeone Stilita che ingravidò una sposa che aveva il marito impotente, o delle amorosissime luci della Madonna di Ancona che nel 1796 con inaudito portento si apersero alla vista di ottantamila testimoni oculari, siccome ne accerta l’abate Albertini, e le aperse anco alla presenza del general Bonaparte che non se ne accorse. Tai miracoli sono riservati a’ santi di un ordine superiore; ma Frà Paolo, fece anch’egli i suoi, e giova raccontarli.

Scoperte le sue ossa nel 1722, come già dissi, il popolo corse a folla, ruppe le sbarre che impedivano l’avvicinarsi all’altare, e chi col fazzoletto, chi coi guanti, chi con un lembo della veste, tutti vollero toccarlo e conservare la benedetta memoria. Credo che i frati non saranno stati pigri a mettere in mostra il bacile delle offerte; il vero è che in un momento corse voce di mira-