Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/95

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capo xx. 87

denza di riguardi, lo avevano fatto l’oracolo pubblico; nè vi era cosa alcuna importante o di interna o d’esteriore amministrazione nella quale non fosse consultato e uditone il parere. Le case dei grandi, quella stessa del doge erano aperte a lui, e pochi vi erano che non si facessero un orgoglio di poterlo onorare. Il Collegio lo chiamava spesso alle sue consulte, con lui si consigliavano i Decemviri e i capi delle Quaranzie, con lui corrispondevano privatamente e si consigliavano gli ambasciatori. Egli era, per così dire, la mente dello Stato.

Pare incredibile come in una repubblica aristocratica, dove per la qualità de’ suoi ordini l’individuo aveva così poca influenza, e niente affatto un ecclesiastico, un frate, di origine plebea, abbia potuto ascender tanto che senza uscire dal suo chiostro valesse a indirizzare per diciasette anni le faccende principali di quella. Gli scrittori veneziani, sinchè fu viva la Repubblica, mossi da orgoglio aristocratico o da prevenzioni, s’ingegnarono di negargli questa prerogativa, deducendo dalle assai ristrette attribuzioni de’ consultori, che era di rispondere a’ quesiti che loro faceva il governo. Ma è un fatto costante che apparisce non pure dall’istoria, ma dagli scritti dettati da questo teologo politico. Nè il Sarpi era un consultore comune, ma stretto in intima amicizia coi maggiorenti, passando più ore del giorno in colloquio con loro, ne udiva i pensieri, svelava i propri, si componevano i disegni, si dirigevano le opinioni; ed egli prudente, avveduto, pratico, nella fiducia del governo e del popolo, se non dava il suo suffragio nei consessi, vi eser-