Pagina:Bini - Scritti editi e postumi.djvu/127

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vero, e il sentimento e l’intelletto pervertito piegano dinnanzi al simulacro di vane e codarde passioni; – nè mitologie, che una volta vissero colle nazioni; poi con esse giacquero spente e oggimai, coperte dalle tenebre di un tempo troppo lontano dalla memoria, affaticano senza frutto la mente, o non le presentano, che nudi fantasmi degli umani vaneggiamenti; – nè filosofie, che si smarriscono per entro ad infinite ricerche, e di rado trovano il vero, e più di sovente un nuovo lato dell’incertezza, per lo che fanno temere che alla mente non sia concesso nemmeno il riposo d’un delirio solo, ma che un destino la danni ad avvolgersi del continuo per l’errore, o a cedere alle larve del dubbio, che di tutti i dolori è il soverchio, perchè, avendo varietà di moti e di forme infinita, non subisce le leggi dell’abitudine, e dura perenne; – nè gente che fa professione di spegnere quel raggio d’intelligenza, che tutti più o meno dalla Natura sortimmo, e cava il fumo dalla luce, come disse argutamente un antico, e si arroga un nome venerato, e lo porta in pace. Chi ha tracciato l’orme della caduta di un popolo ha veduto la corruttela dei costumi, e l’annientarsi della potenza, andar di pari colle scuole dei retori e dei sofisti; chi ne ha seguito il volo nella grandezza ha veduto da più alte sorgenti derivarsi il pubblico bene, poichè in quella rara felicità di tempi le cattedre e le accademie non dettavano servitù di sistemi, imponendo allo spirito umano di vestire una forma sola e costretta, nè più muovere un passo; ma il savio, studiando i bisogni e l’indole del proprio secolo, a quelle norme conformava le patrie istituzioni. E l’Amore e la Sapienza guidavano la mente giovanile su l’universo, e quella ne ritornava assue-