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CENNO SULLA LETTERATURA


― 18291


Dant animum ad loquendum libere ultimæ miseriæ.


Quando l’inevitabile avvicendarsi dei casi assegnò nei secoli uno spazio al delirio della potenza abusata, la notte giacque lunghissima sul genere umano, velando il sereno di quanta luce accolse la mente degli anni antichi. E allora la terra non sopportò, che l’insolenza del forte, e la viltà dei caduti; e le turbe abbandonate alla rabbia dei supremi bisogni, al gemito delle arcane paure, altro non seppero, che d’esser venute a soffrire, e morire. E allora, fugate le illusioni, la vita rimase senza perchè, e l’arido pensiere sarebbe corso al suo primo niente, se Dio nol frenava colla pazienza. Le passioni del forte si chiusero nel disprezzo, quelle del fiacco nell’odio; e allora il ministero dei sensi gentili più non fece tremare la povera creta del celeste suo brivido, e l’amore, ultimo, e quasi ombra, intervenne agli affetti, e la pietà, dolcissima tra le corde del cuore, tacque disarmonica. E quei tempi stanno come lacuna dell’intelletto, perchè l’uomo non visse, ma vegetò materia armonizzata nelle forme, e gran mercè se per sempre non ammutì nel silenzio delle