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Mi coglie la vertigine. Chi sei,
O crëatura del mistero? Il mondo
Forse nol saprà mai. Nume, o demonio,
Ti chiameranno incerti; – e il tuo concetto
Forse l’inferno racchiudeva, e il cielo.
. . . . . . . . . . . . . . . .
Il fiore
Della vita per te crebbe solingo
E nero, ed aura nol nodria feconda,
E amor non lo guardò.
Nell’ora
Dei mesti sensi, – quando cade il Sole,
E sopra la natura si diffonde
Addolorato come il guardo estremo
D’un amico, che muor, – piangesti mai?
Il vïator, che tenta le tempeste
Dell’antico Oceáno, andrà tremante
All’Isola romita, ove il tuo Genio
Impotente si giacque, o sventurato.
E la mente commossa andrà cercando
Per l’ombre della morte il tuo fantasma,
Che scongiurato apparirà. Funesta
Luce balenerà sulle tremende
Sorti dell’uomo, e gemerà . . . .
E se mai le ridenti illusïoni
Ti rinfrescavan di fiori la fronte,
Il dolor li appassiva;
E la tua fronte, pallida, atterrita,
Trono severo d’un pensier di morte,
Cadeva a terra.
L’Aquila gloriosa,
Del cenno tuo terribile ministra,
Che tra gli artigli un dì portava il mondo,