Pagina:Bini - Scritti editi e postumi.djvu/327

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co’ miei saluti, e digli che gliele mando di cuore – e una dozzina ancora, se gli potranno far bene. Io son persuaso, – disse il mio Zio Tobia, nel punto che l’oste serrava la porta, – che costui abbia veramente viscere di pietà; – ma pure, o Trim, non posso tenermi di stimare altamente anche l’ospite suo; – e’ dee avere alcuna dote più che ordinaria, perchè in tempo sì breve si sia conciliato tanto l’affetto del suo albergatore. ― E dell’intera famiglia, – riprendeva il Caporale, perchè tutti lo tengono a cuore. ― Vàgli dietro, – disse il mio Zio Tobia, – va, Trim, e dimandagli come si chiami. ― Me ne sono dimenticato davvero, – disse l’oste rientrando nella stanza col Caporale, – ma ne posso dimandar nuovamente al suo figliuolo. ― Egli ha dunque seco un figliuolo? – disse il mio Zio Tobia. ― Un giovanetto, – rispose l’oste, – di circa gli undici, o i dodici anni; ma la povera creatura non ha gustato quasi nulla di cibo come suo padre: non fa che addolorarsi, e piangere notte e giorno, e son due giorni che non si muove dalla sponda del letto. ― Il mio Zio Tobia posò il coltello, e la forchetta, e si tolse il piatto davanti, mentre l’oste gli facea quel racconto, – e Trim senza aspettar comando, nè dir parola, sparecchiava, e di lì a pochi minuti gli recò la pipa e il tabacco. ― Trim! – disse il mio Zio Tobia dopo avere accesa la pipa, e date dieci o dodici boccate di fumo. Trim venne alla presenza del suo padrone, e lo inchinò. Il mio Zio Tobia seguitò a fumare, nè più fece motivo. ― Caporale! – disse il mio Zio Tobia. E il Caporale lo inchinò. Il mio Zio Tobia non andò più là col discorso, ma finì la sua pipa. ― Trim! – disse il mio Zio Tobia, – mi è venuto in capo, perchè è una cattiva nottata, di avvolgermi tutto nel mio mantello, e visi-