Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/158

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152 l'elegia di madonna fiammetta


gloria, fuggita sí come somma miseria da ognuno e da me, se io potessi, al presente in cotale guisa quale udirete il tempo malinconosa trapasso.

Dico adunque che ne’ miei dolori affannata gli altrui ricercando, primieramente gli amori della figliuola d’Inaco1, la quale io morbida e vezzosa donzella primieramente figuro, quindi la sua felicitá, sentendosi amata da Giove, con meco penso; la qual cosa ad ogni donna per sommo bene senza dubbio dovria essere assai; quindi lei trasmutata in vacca e guardata da Argo ad instanzia di Giunone rimirandola, in grandissima ansietá oltremodo essere la credo. E certo io giudico li suoi dolori li miei in molto avanzare, se ella non avesse avuto continuamente a sua protezione l’amante iddio. E chi dubita, se io il mio amante avessi aiutatore ne’ danni miei, o pure di me pietoso, che pena niuna mi fosse grave? Oltre a ciò il fine di costei fa le sue passate fatiche levissime, però che, morto Argo, con grave corpo leggerissimamente trasportata in Egitto, e quivi in propria forma tornata e maritata ad Osiri, felicissima reina si vide. Certo se io potessi sperare pure nella mia vecchiezza rivedere mio il mio Panfilo, io direi le mie pene non essere da mescolare con quelle di questa donna; ma solo Iddio il sa se essere dèe, come che io con isperanza falsa me stessa di ciò inganni.

Appresso costei, mi si para davanti l’amor della sventurata Biblis2, la quale ogni suo bene mi pare veder lasciare, e seguitare il non pieghevole Cauno. E con questa insieme considero la scellerata Mirra3, la quale, dopo li suoi mal goduti amori, fuggendo la morte dall’adirato padre minacciatale, in quella, misera, incappò. Veggio ancora la dolorosa Canace4, a cui, dopo il miserabile parto mal conceputo, niuna altra cosa che ’l morir fu conceduto; e meco stessa pensando bene all’angoscia di ciascheduna, senza niuno dubbio grandissima la discerno, avvegna che abominevoli fossero li loro amori. Ma se bene considero, io le veggo finite, o per finire in corto spazio, però che Mirra nell’albero del suo nome, avendo gl’iddii secondi al suo disio, senza alcuno indugio fuggendo,