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184 | l'elegia di madonna fiammetta |
avere il detto Narciso, dimandarono consiglio a uno indovino
che si chiamò Tiresia padre di Manto che edificò la cittá di
Mantova; ed esso rispose che il detto Narciso viverebbe lungo
tempo se esso non conoscesse se medesimo. Della qual cosa
fu fatto beffe; ma poi venne tempo nella sua iuventute che
una ninfa chiamata Eco s’innamorò di lui ed esso non di
lei, onde ella il biastimò che esso si potesse innamorare di
cosa che mai non potesse usare. E cosí fu che andando esso
a bere ad una fontana perché era cacciatore ed era stanco,
mirando nella fontana vide la sua figura bellissima, e innamorossi di se stesso, e non conoscendosi si consumò d’amore, e
cosí dagl’iddíi fu trasmutato in fiore, di cui dice Ovidio:
Credule, quid frustra simulacra fugacia captas? |
[Met., III, 432-433.]
[Atalanta]: fu figliuola di Ceneo re, la quale fu bellissima
e velocissima in correre, in tanto che avanzava ogni uomo,
e però avea fatta legge che qualunque corresse piú di lei la
dovesse aver per moglie, e se no gli dovesse essere tagliata la
testa. La qual cosa intervenne a molti, ma Ipomenes figliuolo
di Megareo vedendo la bellezza di costei, volle correre con
essa non ostante il pericolo. E però che esso era bellissimo
di corpo, essa quando il vide disposto a correre con lei, mossa
quasi a pietá averebbe voluto essere vinta da lui. Ma pur
essa ed esso corsero insieme, e vinse Ipomenes però che Venere li donò tre pomi d’oro e disseli: «Quando sarai alla
metá del corso butterai uno de’ detti pomi, lo quale essa vedendo si ristará per ricòrlo, e tu allora passerai dinanzi, e
cosí farai del secondo, e il terzo butterai quando sarai appresso al termine del corso acciò che giungi prima di lei».
E cosí fe’, e a questo modo vinse e fulli data per moglie; e
menandola a casa sua, arrivaro ad uno tempio consacrato alla
dea Cibele ch’è detta madre delli iddii, ed entrando nel detto
tempio per riposarsi, il giovine predetto, per poca continenzia,