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254 l'elegia di madonna fiammetta


sive miseria di Arrigo da Settimello, e delle parole di Dante nel De vulgari eloquentia (II, iv, 6): «per elegiam stilum intellegimus miserorum»1, ma il genere letterario ne esce rinnovato per l’influsso delle Eroidi ovidiane. È difficile dire quale fosse la consapevolezza del Boccaccio sullo stile della sua opera. A leggere il congedo al picciolo libretto, ove ci sono le parole: «E se forse alcuna donna delle tue parole rozzamente composte si maraviglia, di’ che quelle ne mandi via, però che li parlari ornati richieggiono gli animi chiari e li tempi sereni e tranquilli», si direbbe che egli fosse persuaso d’avere adoperato l’humile vulgare, come diceva Dante. Ma la realtá è ben diversa: nessun’altra opera del Boccaccio ha uno stile così meditato, sorvegliato, nobilitato dal principio alla fine. Al nuovo genere letterario egli sottopone la materia della sua esperienza amorosa con Fiammetta, della quale ora può scrivere con animo distaccato e con intendimento d’arte2.

 Firenze, Marzo 1939 - xvii.

Vincenzo Pernicone.



  1. È noto che nel medioevo elegia si faceva derivare da «eleyson» (cfr. il commento di A. Marigo al passo dantesco nella sua bella edizione del De vulgari eloquentia — opere di Dante, nuova edizione diretta da M. Barbi, vol. VI, Firenze, 1938-xvii —).
  2. L’Elegia merita uno studio approfondito che per ora manca. Fra le migliori pagine critiche si vedano quelle di N. Sapegno nel suo Trecento; per la parte stilistica, interessanti riferimenti si trovano nel volume di A. Schiaffini, Tradizione e Poesia, Genova, 1934; per la bibliografia aggiornata rimando al citato volume del Branca. Un saggio monografico sull’Elegia sta preparando per la sua tesi di laurea A. Roncaglia, allievo della Scuola Normale di Pisa.