Vai al contenuto

Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/31

Da Wikisource.

capitolo i 25


E quinci senza piú dire súbita si tolse agli occhi miei.

Oimè misera! che io non dubito che, le cose seguite mirando, non Venere costei che m’apparve, ma Tesifone fosse piuttosto, la quale, posti giú gli spaventevoli crini non altramente che Giunone la chiarezza della sua deitá, e vestita la splendida forma, quale quella si vestí la senile, cosí mi si fece vedere come essa a Semelè, simigliante consiglio di distruzione ultima, qual fece ella, porgendomi; il quale io miseramente credendo, o pietosissima fede, o reverenda vergogna, o castitá santissima, delle oneste donne unico e caro tesoro, mi fu cagione di cacciarvi. Ma perdonatemi, se penitenzia, data al peccatore può, sostenuta, perdono alcuna volta impetrare.

Poi che del mio cospetto si fu partita la dea, io ne’ suoi piaceri con tutto l’animo rimasi disposta: e come che ogn’altro senno mi togliesse la passione furiosa che io sostenea, non so per quale mio merito, solo un bene di molti perduti mi fu lasciato, cioè il conoscere che rade volte, o non mai, fu ad amore palese conceduto felice fine. E però, tra gli altri miei piú sommi pensieri, quanto che egli mi fosse gravissimo a fare, dispuosi di non proporre alla ragione il volerne recare a fine cotal disio. E certo, quanto che io molte volte fossi per diversi accidenti fortissimamente costretta, pure tanto di grazia mi fu conceduto, che senza trapassare il segno, virilmente sostenendo l’affanno passai. E in veritá ancora durano le forze a tal consiglio, però che quantunque io scriva cose verissime, sotto sí fatto ordine l’ho disposte che, eccetto colui che cosí come io le sa essendo di tutte cagione, niuno altro, per quantunque avesse acuto l’avvedimento, potrebbe chi io mi fossi conoscere. E io lui priego, se mai per avventura questo libretto alle mani gli perviene, che egli, per quello amore il quale giá mi portò, che celi quello che a lui né utile né onore può manifestandol tornare. E s’egli m’ha tolto, senza io averlo meritato, sé, non mi voglia tôrre quello onore, il quale avvegna che io ingiustamente porti, esso come sé, volendo, non mi potrebbe rendere giammai.