Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. I, 1918 – BEIC 1758493.djvu/118

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PROEMIO

[Lez. i] «Nel mezzo del cammin di nostra vita», ecc. La nostra umanitá, quantunque di molti privilegi dal nostro Creatore nobilitata sia, nondimeno di sua natura è si debile, che cosa alcuna, quantunque menoma sia, fare non può né bene né compiutamente, senza la divina grazia. La qual cosa gli antichi valenti uomini e’ moderni considerando, a quella supplicemente addomandare e con ogni divozione a nostro potere impetrare, almeno ne’ principi d’ogni nostra operazione, pietosamente e con paterna affezione ne confortano. Alla qual cosa dee ciascuno senza alcuna diffícultá divenire, leggendo quello che ne scrive Platone, uomo di celestiale ingegno, nel fine del prologo del suo Timeo, per sé dicendo: «Nani cum omnibus mos sii et quasi quaedam religio, qui vel de maximis rebus, vel de minimis aliquid acturi sunt, precari divinitatem ad auxilium; quanto nos aequius est, qui universitatis naturae substautiaeque rationem praestaturi sumus, invocare divinam opem, itisi piane quodam saevo furore atque implacabili raptemur amen ti a?». E, se Platone confessa sé, piú che alcun altro, avere del divino aiuto bisogno, io che debbo di me presumere, conoscendo il mio intelletto tardo, lo ’ngegno piccolo e la memoria labile? E spezialmente, sottentrando a peso molto maggiore che a’ miei òmeri si convegna, cioè a spiegare l’artificioso testo, la moltitudine delle storie, e la sublimitá de’ sensi nascosí sotto il poetico velo della Commedia del nostro Dante; e massimamente