Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. I, 1918 – BEIC 1758493.djvu/200

Da Wikisource.

dicendo sé estimare la dimostrazione di questa mutazione, cioè del permutarsi i costumi degli uomini, e gli appetiti da avarizia in liberalitá, doversi cominciare in Tartaria, ovvero nello ’mperio di mezzo, lá dove estimano essere adunate le maggiori [ricchezze e] moltitudini di tesori, che oggi in alcuna altra parte sopra la terra si sappiano. E la ragione, con la quale la loro oppenione fortificano, è che dicono essere antico costume degli imperadori dei tartari (le magnificenze de’ quali e le ricchezze appo noi sono incredibili), morendo, essere da alcuno de’loro servidori portata sopra un’asta, per la contrada dov’e’ muore, una pezza di feltro, e colui che la porta andar gridando: — Ecco ciò che il cotale imperadore, che morto è, ne porta di tutti i suoi tesori; — e, poi che questa grida è andata, in questo feltro inviluppano il morto corpo di quello imperadore; e cosí senza alcun altro ornamento il sepelliscono. E per questo dicon cosí: questo veltro, cioè colui che prima dee dimostrare gli effetti di questa costellazione, nascerá in Tartaria, tra feltro e feltro, cioè regnante alcuno di questi imperadori, il quale regna tra ’l feltro adoperato nella morte del suo predecessore e quello che si dee in lui nella sua morte adoperare. Questa oppinione sarebbero di quegli che direbbono avere alcuna similitudine di vero; la quale non è mia intenzione di volere fuori che in uno atto riprovare, e questo è, in quanto dicono quegli imperadori aver grandissimi tesori, e però quivi mostran che istimino, dall’abbondanza dei tesori riservati, essendo sparti, doversi la gola dell’avarizia riempiere e gli effetti magnifichi cominciare. Il che mi pare piú tosto da ridere che da credere: percioché quanto tesoro fu mai sotto la luna, o sará, non avrebbe forza di saziare la fame di un solo avaro, non che d’infiniti, che sempre sopra la terra ne sono. Che dunque piú? Tenga di questo ciascuno quello che piú credibile gli pare, ché io per me credo, quando piacer di Dio sará, o con opera del cielo o senza, si trasmuteranno in meglio i nostri costumi. E questo, quanto sopra il primo canto, basti d’avere scritto [sempre a correzione di coloro che piú sentono che io non faccio]. Possono per avventura essere alcuni, li quali forse stimano, non solamente in questo libro, ma eziandio in ogni altro [e ne’ G. Boccaccio, Scritti danteschi -1. 13