Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. I, 1918 – BEIC 1758493.djvu/28

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queste cose guardando, dica la nostra republica da questo piè non andare sciancata?

Oh vana fidanza de’ mortali, da quanti esempli altissimi se’ tu continuamente ripresa, ammonita e gastigata! Deh! se Cammino, Rutilio, Coriolano, e l’uno e l’altro Scipione, e gli altri antichi valenti uomini per la lunghezza del tempo interposto ti sono della memoria caduti, questo ricente caso ti faccia con piú temperate redine correr ne’ tuoi piaceri. Niuna cosa ci ha meno stabilita che la popolesca grazia; niuna piú pazza speranza, niuno piú folle consiglio che quello che a crederle conforta nessuno. Levinsi adunque gli animi al cielo, nella cui perpetua legge, nellicui eterni splendori, nella cui vera bellezza si potrá senza alcuna oscuritá conoscere la stabilitá di Colui che lui e le altre cose con ragione muove; accioché, si come in termine fisso, lasciando le transitorie cose, in lui si fermi ogni nostra speranza, se trovare non ci vogliamo ingannati.

XI

LA VITA DEL POETA ESULE

SINO ALLA VENUTA IN ITALIA DI ARRIGO SETTIMO Uscito adunque in cotal maniera Dante di quella cittá, della quale egli non solamente era cittadino, ma n’erano li suoi maggiori stati reedificatori, e lasciatavi la sua donna, insieme con l’altra famiglia, male per picciola etá alla fuga disposta; di lei sicuro, percioché di consanguinitá la sapeva ad alcuno de’ prencipi della parte avversa congiunta, di se medesimo or qua or lá incerto, andava vagando per Toscana. Era alcuna particella delle sue possessioni dalla donna col titolo della sua dote dalla cittadina rabbia stata con fatica difesa, de’ frutti della quale essa sé e i piccioli figliuoli di lui assai sottilmente reggeva; per la qual cosa povero, con industria disusata gli convenia il sostentamento di se medesimo procacciare. Oh quanti onesti sdegni