Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/270

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alcun volesse dire l’autore, dopo la partita de’ Bianchi, esser potuto occultamente rimanere in Firenze, e poi avere scritto anzi la sua partita il sesto e il settimo canto, non si confá bene con la risposta fatta dall’autore al marchese, nella qual dice sé avere creduto questi canti con l’altre sue cose essere stati perduti, quando rubata gli fu la casa. E il dire l’autore aver potuto aggiungere al sesto canto, poi che gli riebbe, le parole le quali fa dire a Ciacco, non si può sostenere, se quello è vero che per i due superiori si racconta, che Dino di messer Lambertuccio n’avesse data copia a piú suoi amici; percioché pur n’apparirebbe alcuna delle copie senza quelle parole, o pur per alcuno antico, o in fatti o in parole, alcuna memoria ne sarebbe. Ora, come che questa cosa si sia avvenuta o potuta avvenire lascerò nel giudicio de’ lettori; ciascun ne creda quello che piú vero o piú verisimile gli pare.] [Tornando adunque al testo, dice: J «Io dico, seguitando» alle cose predette, «ch’assai prima Che noi», cioè Virgilio ed io, «fossimo al piè de l’alta torre», alla quale nella fine del precedente canto scrive che pervennero, «Gli occhi nostri n’andár», riguardando, «suso alla cima», cioè alla sommitá della torre predetta. E appresso dimostra la cagione perché gli occhi verso la cima levarono, dicendo: «Per due fiammette», cioè piccole fiamme, «che vedemmo porre», in su quella sommitá della torre, «E un’altra», fiamma, «di lungi» da questa torre, «render cenno», si come far si suole per le contrade nelle quali è guerra, che, avvenendo di notte alcuna novitá, il castello o il luogo, vicino al quale la novitá avviene, incontanente per un fuoco o per due, secondo che insieme posti si sono, il fa manifesto a tutte le terre e ville del paese. E dice che questo cenno d’una fiamma fu renduto di lontano, «Tanto, ch’appena il potea l’occhio tórre», cioè discernere [altro]. Ma pure, poi che tolto l’ebbe, dice: «Ed io mi volsi al mar», cioè all’abbondanza, «di tutto il senno», cioè a Virgilio (del quale nel principio del canto precedente dice: «E quel savio gentil, che tutto seppe»); e séguita: «Dissi: — Questo che dice?», cioè che significa il fuoco,