Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/93

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né in inferno né altrove, ma vuole che, per gli nominati, s’intenda essere in quello luogo qualunque è stato colui in cui quelle medesime virtú o vizi stati sono. E, oltre a ciò, quantunque Enea, Giulio e Lucrezia e gli altri detti, stati peccatori, qui descritti dall’autore, intende esso autore questi cotali in questo luogo si prendan solamente per virtuosi in quelle virtú che loro qui attribuite sono, e le colpe, quasi non sute, si lascino stare. E cosí prenderemo qui essere chiunque fu in opera simile a Giulio, in quanto virtuoso e non battezzato, e cosi di Lucrezia e degli altri, e non in quanto in alcune cose peccarono: e in questa maniera si convien sostener questo testo. «Io non posso ritrar», cioè raccontare, «di tutti», quegli valenti uomini che io vidi in quel luogo, «appieno», cioè pienamente; percioché molti erano. E soggiugne la ragione perché di tutti ritrarre non può, dicendo: «Percioché si mi caccia», cioè sospigne a procedere avanti, «il lungo tema», di voler discrivere l’universale stato degli spiriti dannati, di que’ che si purgano e de’ beati: «Che molte volte», non solamente pur qui, ma ancora altrove, «al fatto», cioè alle cose che vedute ho, le quali sono in fatto, «il dir», cioè il raccontare, «vien meno». E ciò non è maraviglia, percioché, volendo appieno raccontare le particularitá di qualunque nostra operazione, quantunque piccola sia, si converrebbon dir tante parole, che quasi mai non verrebbon meno. «La sesta compagnia». In questa quinta e ultima particella della seconda parte principale della suddivisione del presente canto, dimostra l’autore come, partiti da’ quattro poeti, procedettero avanti, e dice: «La sesta compagnia», cioè de’ sei poeti, d’Omero e di Orazio e degli altri, «in due», cioè poeti, in Virgilio e nell’autore, «si scema», cioè rimane scema. «Per altra via», che per quella per la quale venuti eravamo, «mi mena’l savio duca», Virgilio, «Fuor della cheta», aura; percioché, come assai è nelle precedenti cose apparito, niun tumulto, niun romore era in quel cerchio; «nell’aura che trema», si come ripercossa da impetuoso spirito di vento e da pianti e da dolori. «E vengo in luogo, ove non è», né sole, né stella, né lumiera «che luca», cioè faccia lume.