Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/114

Da Wikisource.

fu costretto dalla sua gente d’arme, sperante d’arricchire della preda e della ruberia della cittá, di prender la guerra e di discender alla battaglia. Ideila quale essendo stato vinto, e avendo infelicemente un’altra volta tentata la fortuna della battaglia, mandò ambasciadori a’ siracusani, promettendo che esso diporrebbe la signoria, se essi gli mandassero uomini con li quali esso potesse trattare le convenzioni della pace; e, avendo i siracusani mandatigli a questo fare de’ migliori della cittá, esso, ritenutigli in prigione, non prendendosi di ciò guardia i siracusani, mandò subitamente la gente sua a guastare e a rubar la cittá: per la qual cosa i cittadini difendendosi e combattendosi per tutto, e vincendo la moltitudine dei cittadini la gente di Dionisio, e perciò esso temendo di non essere nella ròcca assediato, se ne fuggi con ogni suo reale arnese in Italia. E si come sbandito ricevuto da’ locrensi come compagno, si come se giustamente in quella regnasse, occupò la ròcca della cittá; e si come in Siragusa era usato di fare, cosi quivi incominciò ad esercitare la crudeltá; e alla sua libidine faceva rapire le nobili donne de’ maggiori della cittá, e facevasi per forza menare le vergini avanti il giorno delle nozze, e quando quanto a lui piaceva tenute l’avea, le faceva rendere a’parenti loro; oltre a ciò li piú ricchi della cittá scacciava e rubava, o gli faceva uccidere, e facendo cose ancora assai piú inique. Poi che sei anni ebbe tenuta la signoria di Locri, non avendovi piú che rubare, occultamente e per segreto trattato se ne tornò in Siragusa; dove essendo piú crudele che mai, e peggio adoperando, fatta da tutti i cittadini congiurazione contro a lui, fu nella ròcca della cittá assediato, dove costretto per patti fatti co’ siracusani, lasciata la signoria, povero e misero n’andò in esilio a Corinto; e quivi, per sicurtá della vita sua, datosi alle piú infime e misere cose che potè, ne’ vilissimi luoghi e con vilissimi uomini dimorava, male e vilmente vestito; e ultimamente si diede a insegnar giucare alla palla a’ fanciulli; e in còsi fatta guisa vilmente adoperando e vivendo, pervenne al fine incognito della sua vita. Per le quali malvagitá e violenze, cos nel sangue come nell’aver del prossimo, o del padre o del