Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/19

Da Wikisource.

Aristotile, come questi venti impetuosi si generano, li quali vi tlissi essere due, cioè typhon e enephias, e però qui reiterare non bisogna. Ed era questo vento sonoro] «per gli avversi ardori», cioè vapori o esalazioni, li quali surgono della terra; [li quali chiama «ardori», percioché son caldi e secchi; e se cosi non fossero, non farebbon suono. Ma era questo suono in tanto pieno di spavento, in quanto si movea velocissimo con l’impeto del vento] «Che fier», questo vento, «la selva», alla quale s’abbatte [le cui frondi percosse il fanno ancora piú sonoro,] «e senza alcun rattento», [e, oltre a ciò] per la forza del suo impeto, «li rami», degli alberi della selva, «schianta, abbatte e porta fuori» della selva talvolta. E, oltre a questo, «Dinanzi», cioè in quella parte che precede, «polveroso va superbo», cioè rilevato, «E fa fuggir le fiere», che nella selva sono, «e li pastori» con le lor greggi. «Gli occhi mi sciolse», dalla chiusura delle sue mani, «e disse: — Drizza il nerbo Del viso», cioè il vigore del senso visivo, «su per quella fiamma antica». Qual questa fiamma si fosse, per la quale egli gli dimostra inverso qual parte riguardar debba, o alcuna di quelle che all’entrar della nave di Flegiás vide, o altra, non si può assai chiaramente comprendere. Credere’ io che ella fosse alcuna fiamma usa continuo d’essere in quel luogo nel quale allora era; e questo credo, percioché egli la chiama «antica», forse a differenza di quelle delle quali dissi che nuovamente eran fatte. «Per indi onde quel fummo è piú acerbo», — cioè piú folto, si come nuovamente prodotto. «Come le rane». Qui dimostra l’autore, per una brieve comparazione, quello che, guardando in quella parte, la quale Virgilio gli dimostrava, facessero l’anime de’ dannati che quivi erano, e dice che «Come le rane innanzi alla nimica Biscia per l’acqua si dileguali tutte», fuggendo, «Fin ch’alia terra ciascuna s’abbica», cioè s’ammonzicchia l’una sopra l’altra, ficcandosi nel loto del fondo dell’acqua, nella qual dimorano. Dice qui l’autore la «nimica biscia», usando questo vocabol generale quasi di tutte le serpi, per quello della idra, la quale è quella serpe che sta nell’acqua, e che inimica le rane, si come