Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/192

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Poi, deducendosi l’autore alla intenzion sua finale, dice die ogni parte di questa statua, fuori che quella la quale è d’oro, è rotta d’una fessura, della quale gocciano lagrime, intendendo per questo mostrarne perché tutto questo, che poetando ha discritto, abbia detto, cioè per farne chiari da qual cagione nata sia l’abbondanza delle miserie infernali. La qual cagione accioché non si creda pur ne’ presenti secoli avere avuto origine, dice che incominciò infino a quella qualitá di tempo, la quale appresso della testa dell’oro di questa statua è disegnata, cioè dopo Tesser cacciati i primi parenti di paradiso; volendo per questa rottura intendersi la rottura della integritá della innocenza o della virtuosa e santa vita, le quali, col malvagio adoperare e col trapassare i comandamenti di Dio, son rotte e viziate: e da queste eccettua l’autore la parte dell’oro, mostrando in quella non essere alcupa rottura, percioché fu tutta santa e obbediente al comandamento divino. E cosi dobbiam comprendere che le malvagie operazioni e inique degli uomini, di qualunque paese o regione, sono state cagione e sono delle lagrime, le quali caggiono delle dette rotture, cioè de’ dolori e delle afflizioni, le quali per le commesse colpe dalla divina giustizia ricevono i dannati in inferno; mostrandone appresso queste cotali lagrime, cioè mortali colpe, dal presente mondo discendere nella misera valle dello ’nferno, con coloro insieme li quali commesse l’hanno; e in inferno, cioè nella dannazion perpetua, fare quattro fiumi, cioè quattro cose, per le quali si Comprende l’universale stato de’ dannati. E nomina questi quattro fiumi, il primo Acheronte, il secondo Stige, il terzo Flegetonte, il quarto e ultimo Cocito: volendo per Acheronte intendere la prima cosa, la quale avviene a’ dannati. È Acheronte, come di sopra alcuna volta è stato detto, interpetrato «senza allegrezza»: per la quale interpetrazione, assai chiaro si conosce colui, il quale per lo suo peccato discende in perdizione, avanti ad ogni altra cosa perdere l’allegrezza dell’eterna beatitudine, la quale gli era apparecchiata, se voluto avesse seguire i comandamenti di Dio. Appresso intende l’autore per Istige, il quale è interpetrato «tristizia», quello che il