Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/9

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CANTO NONO

i Senso letterale ELez. xxxv] «Quel color, che viltá di fuor mi pinse», ecc. Continuasi l’autore in questo canto al precedente in cotal guisa: egli ha dimostrato davanti come Virgilio, essendogli stata serrata la porta della cittá nel petto, egli tornasse a lui con sospiri e con rammarichii; e dobbiam credere che, per la turbazione presa di ciò, egli altro colore che l’usato avesse nel viso; il qual colore nel principio di questo canto dice l’autore che egli ristrinse dentro, veggendo lui per viltá aver similmente mutato colore. E dividesi il presente canto in cinque parti: nella prima delle quali, essendo l’autore per certe parole di Virgilio entrato in pensiero, muove un dubbio a Virgilio, e Virgilio gliele solve; nella seconda discrive come sopra le mura di Dite vedesse le tre furie e udissele gridare; nella terza pone la venuta del Gorgone, e come da Virgilio gli fossero gli occhi turati, accioché noi vedesse; nella quarta discrive la venuta d’un angelo, per opera del quale scrive essere stata la porta della cittá aperta; nella quinta e ultima pone come nella cittá entrassero, e quivi vedessero in arche affocate punire gli eresiarche. La seconda comincia quivi: «E altro disse»; la terza quivi: — «Volgiti indietro»; la quarta quivi: «E giá veniva»; la quinta quivi: «E noi movemmo i piedi».