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222 il corbaccio

racconsolare; e, quanto piú vi penso, piú ne divengo turbato. A te s’appartiene, e so che tu ’l conosci, piú d’usare i solitari luoghi che le moltitudini, ne’ templi e negli altri pubblici luoghi raccolte, visitare; e quivi stando, operando, versificando, esercitare lo ’ngegno e sforzarti di divenire migliore e d’ampliare a tuo podere, piú con cose fatte che con parole, la fama tua; che, appresso quella, salute ed etterno riposo, il qual ciascuno che dirittamente desidera dee volere, è il fine della tua lunga sollecitudine.

«Mentre che tu sarai ne’ boschi e ne’ remoti luoghi, le Ninfe Castalide, alle quali queste malvage femmine si vogliono assomigliare, non t’abbandoneranno giá mai; la bellezza delle quali, si come io ho inteso, è celestiale; dalle quali, cosí belle, tu non se’ schifato né schernito; ma è loro a grado il potere stare, andare e usare teco. E, come tu medesimo sai, che molto meglio le conosci che io non fo, elle non ti metteranno in disputare o discutere quanta cenere si voglia a cuocere una matassa d’accia; e se il lino viterbese è piú sottile che ’l romagnuolo; né che troppo abbia il forno la fornaia scaldato e la fante lasciato meno il pane levitare; o che da provvedere sia donde vegnano delle granate onde la casa si spazzi; non ti diranno quel ch’abbia fatto la notte passata monna cotale, monna altrettale; né quanti paternostri ell’abbia detti al predicare; né s’egli è il meglio alla cotale roba mutare le sale o lasciarle stare; non ti domanderanno danari né per liscio, né per bossoli, né per unguenti. Esse con angelica voce ti narreranno le cose dal principio del mondo state infino a questo giorno; e sopra l’erba e sopra i fiori e le dilettevoli ombre teco sedendo, a lato a quel fonte le cui ultime onde non si videro giá mai, ti mosterranno le cagioni de’ variamenti de’ tempi e delle fatiche del sole e di quelle della luna; e qual nascosa virtú le piante nutrichi e insieme faccia li bruti animali amichevoli; e d’onde piovano l’anime negli uomini; e l’essere la divina bontá etterna e infinita; e per quali scale ad essa si salga e per quali balzi si traripi alle parti contrarie; e teco, poiché versi d’Omero, di Virgilio e