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Rime 113

     Vivere con sospiri doglia et pianto:
     Così farò fintanto
     Che ’l foco di mia vita giugna al verde1.20


RICCIO BARBIERE2 A MESSER GIOVANNI BOCCACCI.


S’io avesse più lingue che Carmente3
     Non ebbe o fosse Apollo in me inchiuso4,
     Sarebbe el sole nell’orion5 rinchiuso
     Più d’una volta, del nostro oriente6,
     Che7 io potesse dire enteramente5
     Vostra magnificenza e moderno uso:


  1. Questa ballatina conseguì presto una grande popolarità e fu cantata sicuramente sino al principio del secolo XVII. Infatti la si trova compresa in almeno cinque antiche stampe fiorentine delle Canzone a ballo — una senza data, ma del principio del Cinquecento, le altre del 1532, ’62, ’68 e 1614, — ‘con varietà che testimoniano l’intramettersene che fece la musa del popolo’ (Carducci).
  2. Non sappiamo nulla di questo poetastro, oscuro precursore del Burchiello nell’arte di trattare insieme la rima ed il rasoio; e non sono meno sconosciute l’occasione e la data della tenzone.
  3. È il nome latino della madre di Evandro, la quale vaticinava in versi. Vergilio ricorda ‘tremenda Carmentis nymphae monita’ (Aen., VIII, 335 e sg.).
  4. «S’io fossi più eloquente di Carmenta e se Apollo m’inspirasse.»
  5. È probabilmente uno sproposito di Riccio, che forse voleva dire orizon. Il Boccacci, versato in astronomia, rilevò pronto l’equivoco del povero barbiere, accennando ad Orione, nella risposta, come ad una costellazione (cfr. la n. 3 a p. 115).
  6. Intendo: «il sole sarebbe rinchiuso più d’una volta nell’orizzonte del nostro cielo», ossia: «passerebbero più giorni.»
  7. «Prima che.»
8. — Classici italiani, N. 1.