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Rime 135

XCVI.


Tanto ciascun ad acquistar thesoro
     Con ogni ingegno s’è rivolto et dato,
     Che quasi a dito per matto è monstrato
     Chi con virtù seguisce altro lavoro.
     Per che constante stare infra costoro5
     Hoggi conviensi, nel mondo sviato,
     A chi, come tu fosti, è infiammato,
     Phebo, del sacro et glorioso alloro.
Ma perché tutto non può la virtute
     Ciò che la vuol, senza il divino aiuto,10
     A te ricorro, et prego mi sostegni
     Contr’alli venti adversi a mia salute,
     Et, dopo il giusto affanno, il già canuto
     Capo d’alloro incoronar ti degni.


XCVII.


Sovra li fior vermigli e’ capei d’oro
     Veder mi parve un foco alla Fiammetta1,
     Et quel mutarsi in una nugoletta
     Lucida più che mai argento o oro.
     Et, qual candida perla in anel d’oro,5
     Tal si sedeva in quella un’angioletta,
     Voland’al cielo splendida et soletta,
     D’oriental zaphir2 vestita et d’oro3.


  1. Presagio della prossima morte di lei.
  2. È un emistichio dantesco (Purg., I, 13).
  3. Oro rima tutte quattro le volte con se stesso; cfr. il medesimo uso nel sonetto XCVIII (p. 136, n. 3).