Pagina:Boccaccio - Decameron II.djvu/239

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chiusa 233

il re a Neifile che una ne cantasse a suo nome; la quale con voce chiara e lieta cosí piacevolmente e senza indugio incominciò:

     Io mi son giovanetta, e volentieri
m’allegro e canto en la stagion novella,
merzé d’Amore e de’ dolci pensieri.
     Io vo pe’ verdi prati riguardando
i bianchi fiori e gialli ed i vermigli,
le rose in su le spine e’ bianchi gigli,
e tutti quanti gli vo somigliando
al viso di colui che me amando
ha presa e terrá sempre, come quella
ch’altro non ha in disio che’ suoi piaceri.
     De’ quai quand’io ne truovo alcun che sia,
al mio parer, ben simile di lui,
il colgo e bascio, e parlomi con lui,
e com’io so, cosí l’anima mia
tututta gli apro, e ciò che ’l cuor disia;
quindi con altri il metto in ghirlandella,
legato co’ miei crin biondi e leggeri.
     E quel piacer che di natura il fiore
agli occhi porge, quel simil mel dona
che s’io vedessi la propria persona
che m’ha accesa del suo dolce amore;
quel che mi faccia piú il suo odore,
esprimer nol potrei con la favella,
ma i sospir miei ne son testimon veri.
     Li quai non escon giá mai del mio petto,
come dell’altre donne, aspri né gravi,
ma se ne vengon fuor caldi e soavi,
ed al mio amor sen vanno nel cospetto;
il qual, come gli sente, a dar diletto
di sé a me si move e viene in quella
ch’i’ son per dir: — Deh! vien’, ch’i’ non disperi. —

Assai fu e dal re e da tutte le donne commendata la canzonetta di Neifile; appresso alla quale, per ciò che giá molta notte andata n’era, comandò il re che ciascuno per infino al giorno s’andasse a riposare.