Pagina:Boccaccio - Decameron II.djvu/296

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290 giornata decima

colui cui io uccisi. Tito non bisogna che io scusi: la sua fama è chiara per tutto, lui non essere uomo di tal condizione; adunque liberagli, e di me quella pena piglia che le leggi m’impongono. — Aveva giá Ottaviano questa cosa sentita, e fattiglisi tutti e tre venire, udir volle che cagion movesse ciascuno a volere essere il condannato; la quale ciascun narrò. Ottaviano li due per ciò che erano innocenti, ed il terzo per amor di lor liberò. Tito, preso il suo Gisippo e molto prima della sua tiepidezza e diffidenza ripresolo, gli fece maravigliosa festa ed a casa sua nel menò, lá dove Sofronia con pietose lagrime il ricevette come fratello; e ricreatolo alquanto e rivestitolo e ritornatolo nell’abito debito alla sua vertú e gentilezza, primieramente con lui ogni suo tesoro e possessione fece comune, ed appresso, una sua sorella giovanetta, chiamata Fulvia, gli die’ per moglie, e quindi gli disse: — Gisippo, a te sta omai o il volere qui appresso di me dimorare o volerti con ogni cosa che donata t’ho in Acaia tornare. — Gisippo, costrignendolo da una parte l’esilio che aveva della sua cittá e d’altra l’amore il qual portava debitamente alla grata amistá di Tito, a divenir romano s’accordò; dove con la sua Fulvia, e Tito con la sua Sofronia, sempre in una casa gran tempo e lietamente vissero, piú ciascun giorno, se piú potevano essere, divenendo amici.

Santissima cosa adunque è l’amistá, e non solamente di singular reverenza degna, ma d’essere con perpetua laude commendata, sí come discretissima madre di magnificenza e d’onestá, sorella di gratitudine e di caritá, e d’odio e d’avarizia nemica, sempre, senza priego aspettar, pronta a quello in altrui virtuosamente operare che in sé vorrebbe che fosse operato; li cui sacratissimi effetti oggi radissime volte si veggiono in due, colpa e vergogna della misera cupidigia de’ mortali, la qual, solo alla propria utilitá riguardando, ha costei fuor degli estremi termini della terra in esilio perpetuo rilegata. Quale amore, qual ricchezza, qual parentado avrebbe il fervore, le lagrime ed i sospiri di Tito con tanta efficacia fatti a Gisippo nel cuor sentire, che egli per ciò la bella sposa gentile ed amata da lui avesse fatta divenir di Tito, se non costei? Quali leggi,