Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/226

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magnificenzia e ’l senno e l’altre cose consistano, e che cose sieno quelle virtuose che le dilettano. Perchè, senza più dire di quelle, tornando a ragionare di quello che tu non puoi aver saputo, e di che per avventura teco stesso fai una grande stima, cioè dell’occulte parti ricoperte da’ vestimenti, le quali per tua buona ventura mai non ti si palesarono, così non si fossero elle mai a me palesate, voglio che l’ascoltarmi non ti rincresca. Ma io, prima che più avanti dica, ti voglio trarre d’un pensiero, il quale forse avuto hai, o avere potresti nell’animo, solvendoti una obiezione che far potresti. Tu forse hai teco medesimo detto, o potresti dire: che cose son quelle di che costui parla; chente il modo, chenti sono i vocaboli: o convengons’elle a niuno, non che a uomo onesto, e il quale ha li passi diritti verso l’eterna gloria? Alla quale opposizione, non volendo andare sofisticando, non è che una risposta, la qual son certo che in te medesimo consentirai, che sia non solamente buona, ma ottima. Dei dunque sapere, nè ogni infermità nè ogni infermo potere essere sempre dal discreto medico con odoriferi unguenti medicato, perciocchè assai sono e di quelli e di quelle che nol patiscono, e che richeggiono cose fetide, se a salute si vorranno conducere: e alcuna n’è, che con cotali argomenti e vocaboli e con dimostrazioni puzzolenti purgare e guarir si vogliono. Il mal concetto amore dell’uomo è una di quelle: perciocchè più una fetida parola nello intelletto sdegnoso adopera in una piccola ora, che mille piacevoli e oneste persuasioni, per l’orecchie versate nel sordo cuore, non faranno in gran tempo; e se niuno mai mártiro fu di