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argomenti aiutati, nè lungamente in quelle dimorando, sentirono intera la loro gravezza, come io faccio.
Mentre che io vado agli antichi danni in cotal guisa, quale avanti vedete, nella mia mente cercando per trovare lagrime o fatiche meritamente alle mie simiglianti, acciò che avendo compagni mi dolga meno, mi vengono innanzi quelle di Tieste e di Tereo, li quali amenduni furono misera sepultura de’ loro figliuoli. E senza dubbio io non conosco qual temperanza a’ riluttanti figliuoli nelle interiora paterne per uscir fuori, abominando il luogo donde erano entrati, di ritornarvi, ancora dubitando i crudeli morsi, nè avendo luogo per altra parte, li ritenne di loro aprire con li taglienti ferri. Ma questi con ciò che poterono ad un’ora l’odio e il dolore sfogarono, e quasi ne’ danni prendevano conforto, sentendo che senza colpa erano tenuti miseri da’ loro popoli: quello che a me non avviene. A me è portata compassione di ciò onde io non ho doglia niuna, nè oso scoprire quello onde io mi doglio; la qual cosa se fare osassi, non dubito che, come agli altri dolenti è stato alcuno rimedio, che a me similmente non si trovasse.
Vengonmi ancora nella mente talvolta le pietose lagrime di Licurgo e della sua casa, meritamente avute del morto Archemoro, e con queste quelle della dolente Atalanta madre di Partenopeo morto ne’ tebani campi; e sì proprie a me con li loro effetti s’accostano e sì mi si fanno conoscere, che appena più sapere le potrei, se io non le provassi, come già da me un’altra volta provate furono. Dico che di tanta mestizia sono piene, che più non potrebbero, ma ciascune con tanta gloria sono in etterno ritratte, che quasi liete