Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/215

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vituperio temo e infamia, se avvenisse che si scoprissero. Sì che già non avanzano le sue le mie, anzi sono dalle mie molto le sue avanzate; e in tanto più, in quanto di lui molto più che non fu se ne scrive, ma le mie sono molto più che io non posso contare.

Dopo tutti questi, quasi da se medesimi riservati, come molto gravi mi si fanno sentire i guai d’Isifile, di Medea, d’Oenone e d’Adriana, le lagrime delle quali e i dolori assai con le mie simiglianti le giudico; però che ciascuna di queste, dal suo amante ingannata, così come io, sparse lagrime, gittò sospiri, e amarissime pene senza frutto sostenne; le quali, avvegna che, come è detto, sì come io si dolessero, pure ebbero termine con giusta vendetta le lagrime loro, la qual cosa ancora non hanno le mie. Isifile avvegna che molto avesse onorato Giasone, e suo per debita legge se lo avesse obligato, veggendolsi da Medea tolto, come io posso, ragionevolmente si potè dolere; ma la provvidenza degl’iddii con occhio giusto guardante ad ogni cosa, se non a miei danni, le rendè gran parte della disiderata letizia, però che ella vide Medea, che Giasone le aveva tolto, da Giasone per Creusa abandonata. Certo io non dico che la mia miseria finisse, se questo vedessi a colei avvenire che m’ha tolto il mio Panfilo, eccetto se io non fossi già colei che gliel togliessi, ma ben dico che gran parte mancherebbe di quella. Medea similmente si rallegrò di vendetta, posto che essa così crudele divenisse contro di sè, come contro lo ’ngrato amante, uccidendo li comuni figliuoli in presenza di lui, ardendo li reali ostieri con la nuova donna. Oenone ancora, lungamente dolutasi, alla fine sentì