Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/22

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4 LA FIAMMETTA

Oimè, che io ancora che piccola fossi, udendole a molti lodare, me ne gloriava, e loro con sollecitudini e arti faceva maggiori. Ma già dalla fanciullezza venuta ad età più compiuta, meco dalla natura ammaestrata sentendo quali disii a’ giovini possono porgere le vaghe donne, conobbi che la mia bellezza, miserabile dono a chi virtuosamente di vivere disidera, più miei coetanei giovinetti e altri nobili accese di fuoco amoroso. E me con atti diversi, male allora da me conosciuti, volte infinite tentarono di quello accendere di che essi ardevano, e che me dovea più che altra non riscaldare, anzi ardere nel futuro; e da molti ancora con istantissima sollecitudine in matrimonio fui addomandata; ma poi che de’ molti uno, a me per ogni cosa dicevole, m’ebbe, quasi fuori di speranza cessò la infestante turba degli amanti da sollecitarmi con gli atti suoi. Io, adunque, debitamente contenta di tale marito, felicissima dimorai infino a tanto che il furioso amore, con fuoco non mai sentito, non entrò nella giovine mente. Oimè! che niuna cosa fu mai che il mio disio o d’alcuna altra donna dovesse chetare, che prestamente a mia sodisfazione non venisse. Io era unico bene e felicità singolare del giovine sposo, e così egli da me era ugualmente amato, come egli mi amava. Oh quanto più che altra mi potrei io dire felice, se sempre in me fosse durato cotale amore!

Vivendo adunque contenta, e in festa continua dimorando, la fortuna, subita volvitrice delle cose mondane, invidiosa de’ beni medesimi che essa avea prestati, volendo ritrarre la mano, nè sappiendo da qual parte mettere li suoi veleni, con sottile argomento a’ miei occhi medesimi fece all’avversità trovare via; e