Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/97

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Deh, Panfilo, dimmi ora: avea io commesso alcuna cosa per la quale io meritassi da te d’essere con cotanto ingegno tradita? Certo niuno altro fallo feci verso di te giammai se non che poco saviamente di te innamorai, e oltre al dovere ti portai fede e t’amai; ma questo peccato almeno da te non meritava ricevere cotale penitenza. Veramente una iniquità in me conosco, per la quale l’ira degl’iddii, faccendola, giustamente impetrai; e questa fu di ricevere te, scelerato giovine e senza alcuna pietà, nel letto mio, e avere sostenuto che il tuo lato al mio s’accostasse; avvegna che di questo, come essi medesimi videro, non io, ma tu se’ colpevole; il quale col tuo ardito ingegno, me presa nella tacita notte sicura dormendo, sí come colui che altre volte eri uso d’ingannare, prima nelle braccia m’avesti e quasi la mia pudicizia violata, che io appena fossi dal sonno interamente sviluppata. E che doveva io fare, questo veggendo? Doveva io gridare e col mio grido a me infamia perpetua, e a te, il quale io piú che me medesima amava, morte cercare? Io opposi le forze mie, come Iddio sa, quanto io potei; le quali, alle tue non potendo resistere, vinte, possedesti la tua rapina. Ohimè! ora mi fosse il dí precedente a quella notte stato l’ultimo, nel quale io sarei potuta morire onesta!

Oh, quante doglie e come acerbe m’assaliranno oggimai! E tu con la menata giovine stando, per piú piacerle, i tuoi antichi amori racconterai, e me misera farai in molte cose colpevole, e la mia bellezza avvilendo e i miei costumi, la quale e li quali da te con somma laude solevano sopra tutti quelli e quelle dell’altre donne essere essaltati, sommamente li suoi lauderai; e