Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/252

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248 il filocolo

duole il dover cercare nuovi liti, imaginando quelli dovere essere strani e voti di varii diletti, de’ quali forse ti pareva la tua Marmorina piena, certo tu se’ ingannata, però che cola ove noi ti portiamo è luogo abbondevole di graziosi beni, pieno di valorosa gente, nel quale forse la fortuna ti concedera piú tosto il tuo disio che fatto non ti avrebbe onde ti partisti: però che noi spesso veggiamo che quelli luoghi che paiono piú atti a uno intendimento d’un uomo o d’una donna, quelli sono di quelli ne’ quali mai tale intendimento fornire non si può; e cosí ne’ luoghi non pensati avviene che l’uomo ha quello che ne’ pensati disiderava. I futuri avvenimenti ci sono nascosi. Il primo aspetto delle cose porge speranza di quello che dee seguire: tu ricca, tu graziosa, tu bellissima! Le quali cose pensando, manifestamente si dee credere che gl’iddii a grandissime cose t’apparecchiano, e che in te non dee potere lunga miseria durare. Piangano coloro a’ quali niuna speranza è rimasa. Noi ti preghiamo che ti conforti, con ciò sia cosa che noi manifestamente conosciamo che con aperte braccia felicitá non pensata t’aspetta, alla quale gl’iddii tosto te e noi con prosperevole tempo, come cominciato hanno, ci portino».

Con pietose lagrime ascoltava Biancofiore le parole de’ confortanti, e avvegna che niuno conforto di quelle prendesse, nondimeno con rotta voce prometteva di confortarsi. Ma poi che i due mercatanti, parendola loro quasi avere riconfortata, la lasciarono con Glorizia, essa soletta in una camera della nave, donata a lei dai signori, si rinchiuse, e in quella con tacite lagrime sopra il suo letto cosí cominciò a dire: «O graziosissima Citerea, ov’è la tua pietá fuggita? Oimè, come tante lagrime di me, tua fedelissima suggetta, non ti muovono ad aiutarmi? Chi spererá in te, se io, che piú fede t’ho portata, per te perisco? E quando verra il tuo soccorso, se nelle miserie non viene? Io non posso peggio stare che io sto. O misera me, che feci io che meritassi d’essere venduta? Ora m’avesse il re avanti uccisa con le proprie mani: almeno il termine de’ miei dolori sarebbe finito! Deh, pietosa dea, quand’io altra volta