Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/427

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libro quarto 423

Il siniscalco saria vivo, e Fileno valoroso cavaliere perduto non saria in isconvenevole esilio; e Florio ora a tal pericolo non saria; ma lieto de’ suoi regni aspetterebbe la promessa corona, e i miseri padre e madre, che di lui debbono udire la vituperosa morte, viverieno lieti del loro figliuolo, del quale ancora piú dolenti morranno. Oimè misera, a che morte sono io apparecchiata! Al fuoco! Il fuoco caccera da’ fermi petti l’amoroso fuoco. Quel fuoco, che il mare, la terra, la paura, la vergogna, e ancora gl’iddii non hanno potuto spegnere, il fuoco spegnerá. Oggi di perfetti amanti, diventeremo nulla. Oggi sará biasimata e tenuta vile la nostra grande costanza e fermezza d’animi. Oggi congiunte cercheranno le nostre anime gli sconosciuti regni. Oggi scalpiteranno i piedi e moveranno i venti le nostre ceneri giá credute serbarsi agli splendidi vasi. Oggi la forza di Citerea fia annullata. O dolente giorno, di tanti mali riguardatore, perché nel mondo venisti? E tu, o Apollo, a cui niuna cosa si nasconde, perché venisti mostrandoti chiaro insieme e crudele, che giá per minori danni nascondesti i raggi tuoi a’ mondani? Oimè, Florio, a che vile partito mi ti veggio avanti! Oimè, come può l’anima sostenermi tanto in vita, pensando che noi siamo cagione di commovimento a tutta Alessandria? pensando che tante migliaia d’occhi solamente noi riguardino, solamente di noi ragionino, solamente di noi pensino? pensando ancora con quanto vituperoso parlare sia da’ riguardanti ciascuna parte di noi, che ignudi a’ loro occhi dimoriamo, riguardata? Caro ne saria il campare, ma non il vivere in questo luogo. O sommi iddii, i cui pietosi occhi il mio nuovo peccato ha rivolti altrove, che ha meritato Florio, che sia da voi sofferto che questa morte sostenga? Egli ha amato, e amando ha fatto quello che voi giá faceste. Costretto è ciascuno di seguire le leggi del suo signore. Egli fece quello che amore gli comandò; ma io, malvagia femina, non servai il dovere all’amiraglio, sotto la cui signoria mi strignevano i fati. Io sola peccai, dunque io sola merito di morire; muoia dunque io, e Florio, che niente ha meritato, viva. O iddii, se in voi alcuna pietá è