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Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/495

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libro quinto 491

lione commisi, perché giustamente movessi il mio signore ad ira, ma come giovane amai: e cui? Non sua nemica, ma quella giovane ch’egli sopra tutte le cose del mondo amava: io dico Biancofiore, la cui bellezza quanti la vedevano tanti ne innamorava. E certo io ignorava che egli lei amasse, ché se saputo l’avessi, ben che il cuore dell’amor di lei portassi ferito, con forza mi sarei infinto di non amarla. E quantunque io pur molto l’amassi, guastava però il mio amore la sua fermezza, la quale si dice che mai per alcuno accidente non mutò cuore: certo no! E se io il bel velo ebbi, il quale col mio non tacere mi fu di tanto male, quanto io sento e ho poi sentito, cagione, ella invita, comandandoglielo la reina, mel concedette: adunque per amore puoi vedere ch’io mi dolgo. Oimè, che se l’ira d’uno potesse trarre amore del cuore d’un altro, io direi che lecito gli fosse stato l’adirarsi; ma quella in me misero il multiplicò, né l’ha però scemato il lungo esilio. Ora quali cose sono con maggiore appetito disiderate che quelle che sono molto vietate? Veramente io ti giuro, che mai il mio pensiero non si distese tanto avanti ch’io sconcia cosa da Biancofiore disiassi, né disidererei giá mai, sentendo sí com’io sento che ella sia da lui sopra tutte le cose amata. Né mi pare ingiusta cosa a dire ch’egli piú si debba contentare che io la amassi che se io la odiassi. E se quel c’ho detto non si concede, e dicasi pure ch’io gravemente abbia fallato, o consentasi, e sia a chi si pente largito perdono. Giove perdona e ciascuno altro iddio a’ suoi offenditori, quando, riconosciuto il fallo, pentendosi dimandano perdono. Veramente mi saria grazia, s’io fallai, che il mio signore mi perdonasse, ché s’io non fallai, avendomi in ira, mancherebbe di suo dovere. Tanto è la grazia grande quanto è il perdono. Niuna ragione vuole che grado si senta del non ricevuto beneficio. S’io fossi in Marmorina e servissilo, e avessi la sua grazia intera, di ciò il mio servigio sentirei dovere rendere grazie. Oimè, che a’ signori dovria essere spesso caro il fallare de’ soggetti per poter perdonare, acciò che perdonando la loro grande benivolenza si mostrasse. Sanno bene gl’iddii, cono-