Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/88

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84 il filocolo

gl’iddii sanno quale ella sará partendoti tu, però che io non credo che mai giorno né notte fia, che io non sofferi molto piú aspri dolori che il morire non è. Ma forse tu ti vuogli scusare che altro non puoi, ma non bisogna scusa al signore verso il vassallo: tanto pure udii io che tu con la tua bocca dicesti d’andare a Montorio! Oimè, or m’avessi tu detto prima: ‛Biancofiore, pensa di morire, perciò che io intendo d’abbandonarti’ , che dire sí, a fidanza delle vane e false parole del tuo padre, il quale promise di mandarmi a te. Certo egli nol fará giammai, perciò che egli guarda di farti tanto da me star lontano, che io possa essere uscita della tua mente». Queste e molte altre parole, piangendo e tal volta porgendogli molti baci amorosi, diceva Biancofiore, quando Florio non potendo le lagrime ritenere, rompendole il parlare, le disse cosí:

«Oimè, dolce anima mia, or che è quello che tu dí? Come potrei io mai consentire se non cosa che ti piacesse? Tu ti duoli della menoma parte de’ nostri danni. Principalmente giá sai tu che mai per me onorata non fosti, ma solo la tua virtú è stata sempre cagione debita agli onoranti di tale onore: la qual virtú per la mia partita non credo che manchi, né similmente l’onore. E chi sarebbe mai quegli che contra te potesse incrudelire, o per invidia o per altra cagione? certo nullo; e se pure alcuno ne fosse, io non sarò sí lontano che tu di leggieri non possa farlomi sentire, acciò che io con subita tornata qui punisca l’iniquitá di quello: e però di questo vivi sicura e senza pensiero. Ma, oimè, di quel foco, del qual tu dí che io ti lascio l’anima accesa, io ardo tutto! E nel vero, mentre che io starò lontano da te, la vita mia non sará meno angosciosa che la tua: e io lo sento giá, perciò che nova fiamma mi sento nel cuore aggiunta. Ma senza fine mi dogliono le parole che tu dí, avvilendoti senza alcuna ragione. E certo di quello ch’io ora ti dirò, non me ne sforza amore né me n’inganna, ma è cosí la veritá come io stimo in te. Niuna virtú né bel costume fecero piú gentilesca creatura nell’aspetto, che i tuoi te senza fallo fanno. La chiaritá del tuo viso passa la luce d’Apollo, né la bellezza di Venere si può adequare alla