Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/90

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86 il filocolo

e tal volta asciugando ora col dilicato dito, ora col lembo del vestimento, le lagrime dei chiari visi.

Nel tempo della seconda battaglia stata tra ’l magnifico giovane Scipione Africano e Annibale cartaginese tiranno, essendo giá la fama del valore di Scipione grandissima, avvenne che uscito del campo d’Annibale un cavaliere in fatti d’arme virtuosissimo, chiamato Alchimede, con molti compagni per prender preda nel terreno de’ romani, acciò che ’l campo d’Annibale copioso di vettovaglia fosse, Scipione, uscitogli incontro, dopo gran battaglia tra loro fatta, gli sconfisse, e lui ferí mortalmente abbattendolo al campo. Alchimede vedendosi abbattuto, e sentendosi solo, da’ suoi abbandonato e ferito a morte, alzò il capo, e riguardò il giovane, il quale la sua lancia aveva a sé ritratta, forse per riferirlo, e videlo nel viso piacevole e bello, e niente pareva robusto né forte come i suoi colpi il facevano sentire, a cui egli gridò: «O cavaliere, non ferire, perciò che la mia vita non ha bisogno di piú colpi a essere cacciata di quelli che io ho, né credo che il sole tocchi l’esperie onde che l’anima mia fia a quelle d’Acheronte. Ma dimmi se tu se’ quel valoroso Scipione cui la gente tanto nomina virtuoso». Il quale Scipione, riguardandolo, e udita la voce, il riconobbe, perciò che in altra parte aveva la sua forza sentita, e disse: «O Alchimede, io sono Scipione». Allora Alchimede gli porse la destra mano, e con fievole voce gli disse: «Disarma il giá morto braccio, e quello anello il quale nella mia mano troverai, prendi e guardalo, perciò che in lui questa mirabile virtú troverai: che a qualunque persona tu il donerai, ella, riguardando in esso, conosceni incontanente se noioso accidente avvenuto ti sia, perciò che il colore dell’anello vedrá mutato, e sí tosto come l’avra veduto, la pietra tornerá nel primo colore bella. E a me per tale cagione il donò Asdrubale, fratello del mio signore Annibale, a cui tu tanto se’ avversario, quando di Spagna mi partii da lui, che piú che sé m’amava. Io sento al presente la mia vita fallire, e solo d’alcuno amico; onde, se io qui muoio, con esso meco perderassi, o troverallo alcuno il quale forse la sua virtú non