Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/111

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con debito stile che cosa gentilezza sia, la quale troveremo ch’è sola virtù d’animo. E qualunque è quelli che con animo virtuoso si truova quelli debitamente si può e dee dire gentile. E in cui si vide già mai tanta virtù, quanta in costei si truova e vede manifestamente? Ella è di tutte generalmente vera fontana. In lei pare la prudentissima evidenzia della cumana Sibilla ritornata; nè fu la casta Penolope più temperata di costei, nè Catone, più forte negli avversarii casi, nè con più equalità d’animo: liberalissima la veggiamo. La grazia della sua lingua si potrebbe adeguare alla dolcissima eloquenzia dell’antico Cicerone. A cui mai tanta grazia concessero gl’iddii? Questa è sommamente virtuosa: adunque sanza comparazione gentile. Non fanno le vili ricchezze, nè gli antichi regni, forse come voi, essendo in uno errore con molti, estimate, gli uomini gentili nè degni posseditori de’ grandi uficii: ma solamente quelle virtù che costei tutte in sè racchiude. Deh, or come mi potea o potrebbe già mai Amore di più nobil cosa fare grazia? Questa ha in sè una singular bellezza, la quale passa quella che Venus tenea, quando ignuda si mostrò nelle profonde valli dell’antica selva chiamata Ida a Paris, la quale, ognora che io la veggio, m’accende nel cuore uno ardore virtuoso sì fatto, che s’io d’un vile ribaldo nato fossi, mi faria subitamente ritornare gentile. Nè niuna volta è che io i suoi lucentissimi occhi riguardi, che da me non fugga ogni vile intendimento, se alcuno n’avessi. Adunque, poi che questa a virtuosa vita mi muove, non che ella è gentile, come di sopra detto è, ma se ella fosse la più vil feminella del mondo, sì è ella da dovere