Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/230

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par vedere un’altra volta avvelenare il prezioso uccello, e condannare la mia Biancifiore a torto, e essere il fuoco maggiore che mai acceso. E quasi mi pare intorno al cuore avere uno amarissimo fiume delle sue lagrime, le quali tutte mi gridano mercè. Io non so che mi fare: io amo, e amore di varie sollecitudini riempie il mio petto, le quali continuamente ogni riposo, ogni diletto e ogni festa mi levano, e leveranno sempre infino a quell’ora che io nelle mie braccia riceverò Biancifiore per mia, in modo che mai della sua vita io non possa dubitare. Io non vi posso con intera favella esprimere più del mio dolore, il quale credo che più vi si manifesti nel mio viso che nel mio parlare non è fatto. Gl’iddii mi concedano tosto quel conforto che io disidero, però che se troppo penasse a venire, così sento la mia vita consumarsi nell’amorosa fiamma come quella di Meleagro nel fatato stizzo si consumò -. E questo detto, perdendo ogni potere, sopra il ricco letto ricadde supino, tornato nel viso quale è la secca terra o la scolorita cenere.

Non potè il duca, che con dolente animo ascoltava quello che non gli era mica occulto, vedendo Florio supino ricadere sopra il suo letto, ritenere le lagrime con fortezza d’animo; ma pietosamente piangendo, si recò lo ’nnamorato giovane, a cui in vista niuno sentimento era rimaso, nelle sue braccia; e rivocati con preziosi liquori gli smarriti spiriti ne’ loro luoghi, così gl’incominciò a dire: Valoroso giovane, assai compassione porto alla tua miserabile vita, tanta che più non posso, e forte mi pare a credere che vero sia che tu da amore così compreso sii come tu narri, con ciò sia cosa che