Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/236

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riputato. Sono io più vile di Paris, il quale non a casa del padre, ma de’ suoi nimici andò per la disiderata donna, e non dubitò d’aspettare a mano a mano Menelao, sollicito richieditore di quella? Io non debbo aver paura che questa da alcuno radomandata mi sia, nè con ferro nè con altra maniera. Il peggio che di questo mi possa seguire, sarà che al mio padre ne dorrà: e se ne gli duole, e’ ne gli dolga! Io amo meglio che egli si dolga, che io di dolore muoia. E pur quand’egli vedrà che io abbia fatto quello di che egli si guarda, la doglia gli passerà, se passare gli vorrà, se non, sì l’ucciderà: che già l’avesse ella ucciso! e poi non ne sarà più. Io il voglio fare: cosa fatta capo ha. E posto che egli per questo si volesse opporre alla vita di Biancifiore, egli s’opporrà ancora alla mia: niuna cosa opererà verso di lei, che io come lei nol senta. Se egli per forza la mi vorrà torre, e io con forza la difenderò. Io non sarò meno debole d’amici e di potenza di lui: e quando egli pur fosse più forte di me, puommi egli più che cacciare del suo regno? Se egli me ne caccia, io starò in un altro. Il mondo è grande assai: l’andare pellegrinando mi ha cagione d’essercizio. Elli fu a Cadmo cagione d’etterna fama l’andar cercando Europa e non trovarla; a Dardano e a Siculo similemente il convenirli partire del loro regno fu cagione di grandissime cose. Io il pur voglio fare. Peggio ch’io m’abbia non me ne può seguire -. E poi ritornava al piangere: e in questi pensieri teneva la maggior parte della sua vita. E eravisi già tanto disposto che con opera il volea mettere in effetto, e avria messo, se il raffrenamento del duca e d’Ascalion