Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/248

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cosa a questo m’ha mossa altro che soperchio amore, il quale del mio petto ha la debita vergogna cacciata, e me quasi furiosa ha fatto nella vostra presenza tornare. Ahimè misera, sarà omai disperata la mia vita! O misera bellezza, partiti del mio viso, poi che colui per cui io cara ti tenea, e ti guardava diligentemente, ti rifiuta. Deh, Florio, poi che a grado non v’è consentirmi quello che lunga speranza m’ha promesso, piacciavi che io nelle vostre braccia l’ultimo giorno segni. Io sento al misero cuore mancare le naturali potenze per le vostre parole. Oimè, uccidetemi con le propie mani, acciò che io più miseramente non viva. Mandatene la trista anima alle dolenti ombre di Stige, là dove ella minor doglia aspetta che quella che ora sostiene. Ahimè, quanto degnamente da biasimare sarete, quando si saprà la dolente Edea essere per la vostra crudeltà partita di questa vita! -. Florio, che le lagrime di costei non potea sostenere, per pietà la confortava, dicendo: O bella giovane, non guastare con l’amaritudine del tuo pianto la tua bellezza; spera che più grazioso giovane ti concederà quello ch’io non ti posso donare. Ritruova le tue compagne, e con loro l’usata festa ti prendi, nè non impedire i miei sospiri con la pietà del tuo pianto: chè io ti giuro per li miei iddii, che se io fossi mio e potessimi a mia posta donare, niuna m’avrebbe se l’una di voi due non m’avesse. Ma io non posso quello che non è mio sanza congedo donare -. Cominciò allora Calmena a dire: O crudelissimo più che alcuna fiera, e come puoi tu consentire di negare a noi quel che ti domandiamo? Certo se tu hai il tuo amore ad altra donato, niuno amore