Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/258

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quel signore, alla forza del cui arco non poterono resistere gl’iddii, sono umilissimo e fedel servidore, se i miei prieghi meritano essere dalla tua benignità uditi, con quello effetto che più graziosamente gli ti presenti gli mando fuori, e priegoti che, con ciò sia cosa che la festa del nostro iddio Marte, le cui vestige io sì come giovane cavaliere seguito, si deggia di qui a pochi giorni celebrare, e in quella il giuoco de’ potenti giovani, sì come tu sai, si deggia fare, e io intendo in quello per amore di te mostrare le mie forze, che tu alcuna delle tue gioie mi doni, la quale portando in quello per sopransegna, mi doni tanto più ardire, che io non ho, ch’io possa acquistare vittoria -. Biancifiore, udendo queste parole, di vergognosa rossezza dipinse il candido viso, sì tosto come il cavaliere si tacque, e non sappiendo che si fare si voltò verso la reina riguardandola nel viso con dubitosa luce. A cui la reina disse: Giovane damigella alza la testa: e perchè hai tu presa vergogna? Dubiti tu che ciò che ha detto il cavaliere non sia vero? Certo nella nostra gran città niuna donna dimora, la cui bellezza si possa adequare al tuo viso; e perchè egli ti domandi grazia, sì come quelli che per amore disidera di servirti, ciò non gli dee da te esser negata, ma benignamente alcuna delle tue cose, quella che tu credi che più gli aggradi, gli dona: chè usanza è degli amanti insieme donarsi tal fiata delle loro gioie -. Disse Biancifiore allora: Altissima reina, e che donerò io al cavaliere che ’l mio onore e la dovuta fede non si contamini? -. La reina rispose: Biancifiore, non dubitare di questo, chè a quelle giovani a cui i fati ancora non hanno marito conceduto, possono liberamente donare ciò che