Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/274

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compagna a’ miei onori divenisti, che sono unico figliuolo del vecchio re: ne’ quali onori tu e io parimente dimorando Amore l’uno così come l’altro, ne’ nostri puerili anni, con la cara saetta ferì. Nè più fu in sì tenera età perfetto l’amore d’Ifis e di Iante che fu il nostro. E quello studio che a noi, costretti da aspro maestro, ne’ libri si richiedeva, cessante Racheio, in rimirarci mettevamo, mostrando lo inestimabile diletto che ciascuno di ciò avea. Oimè, che ancora niuno ricordo era nella nostra corte di Fileno, il quale di lontana parte dovea venire a donarti simile gioia. Ma poi la fortuna, mala sostenitrice delle altrui prosperità, invidiosa de’ nostri diletti, i quali con dolci sguardi e semplici baci solamente si contentavano per la età che semplice era, verso di noi innocenti volle la sua potenza mostrare, e, abassando con la sinistra mano la non riposante rota, il nostro occulto amore a sospette persone fece manifesto. Il quale dal mio padre, dopo gravi riprensioni maestrali, saputo, fui costretto di partirmi da te: nella quale partita, tu mia e io sempre tuo, per la somma potenza di Citerea, giurammo di stare, mentre Lachesis, fatale dea, la vita ne nutricasse. E nel mio partire mi vedesti piangere, e tu piangesti; e ciascuno di noi egualmente dolente, mescolammo le nostre lagrime. E sì come l’abbracciante ellera avviticchia il robusto olmo, così le tue braccia il mio collo avvinsero, e le mie il tuo simigliantemente; e appena ci era licito ad alcuno di lasciare l’uno l’altro, infino a tanto che tu per troppo dolore costretta nelle mie braccia semiviva cadesti, riprendendo poi vita quando io cercava teco morire, te riputando morta. Ora fosse agl’iddii