Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/308

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e essi, miseri e di questo ignoranti assai volte di se stessi con gli altri insieme fanno beffe, nè sanno quello che fanno. Tardi conosco i tuoi effetti, ma certo, mentre ignorante di quelli fui, niuno suggetto avesti che più fede di me ti portasse, nè che più la tua potenza essaltasse: e ancora in quella semplicità ritornerei, se benigno mi volessi essere, come già fosti a molti. Oimè misero, che io non so che io mai contra te adoperassi, per la qual cosa così incrudelire in me dovessi, come fai! Io mai non ti rimproverai la tua giovanezza, nè biasimai la forza del tuo arco, come fece Febo, nè alla tua madre levai il caro Adone, nè scopersi i suoi diletti i quali con Marte prendea, come tutto il cielo vide. Io mai non adoperai contro a te, perchè tu mi dovessi nuocere; ma tu di mobile natura, e nescio di quel che fai, mi tormenti oltre al dovere. Solo in uno atto si conosce te avere alcun sentimento, in quanto mai non cerchi d’essere se non in luogo a te simigliante, avvegna che questa discrezione più tosto alla natura che a te si dovrebbe attribuire. Il tuo diletto è di dimorare ne’ vani occhi delle scimunite femine, le quali a te costrigni con meno dolore che i miseri che in tale laccio incappano; e poi con esse di quelli ti diletti di ridere, consentendo loro il potersi far beffe de’ tristi sanza niuno affanno d’esse: delle quali, schiera di perfidissima iniquità piene, non posso tenermi ch’io non ne dica ciò che dentro ne sento.

Voi, o sfrenata moltitudine di femine, siete dell’umana generazione naturale fatica, e dell’uomo inespugnabile sollecitudine e molestia. Niuna cosa vi può contentare destatrici de’ pericoli, commettitrici de’ mali.