Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/40

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a’ suoi compagni simigliantemente, non s’accorgeva, anzi con solleciti passi si studiava di pervenire a’ dolenti fati; e già quattro volte cornuta e altretante tonda s’era mostrata la figliuola di Latona dopo la sua partita da Roma, la quale egli mai non dovea rivedere, e camminando s’avea lasciate dietro le bianche spalle d’Appennino, affrettandosi di pervenire al santo tempio, il quale da’ suoi occhi non dovea essere veduto, nè da alcuno altro de’ suoi compagni.

Entrava il sole nella rosata aurora con lento passo, e’ torbidi nuvoli occupavano il suo viso, per la qual cosa la sua luce, come usato era, non porgea chiara; forse a lui, che tutto vede, era già manifesta la fierità del crudel giorno, al quale egli s’apparecchiava di dar lume: quando Lelio e la sua compagnia lieti a’ loro danni cavalcavano per una profonda valle, la quale piena di nebbia molto impediva le loro viste, tanto che appena l’uno vicino all’altro si poteano vedere. Era sopra la profonda valle una altissima montagna, tanto che parea che trapassando i nuvoli con le stelle si congiugnesse, la quale dovendo passare, già per la sua ertezza cominciava ad allentare i loro passi. Sopra la detta montagna l’avversario re, da loro non conosciuto, già era pervenuto con la sua gente, e quella notte sopr’essa per più sicurtà del suo essercito, sanza scendere al piano, s’era attendato. Ma già avendo il sole co’ suoi aguti raggi cominciato a dissolvere l’oscure nebbie; il re, che sopra l’alta sommità dimorava, nella sua mente imaginando i cammini che col suo popolo far dovea, ficcando gli occhi fra la folta nebbia nel fondo della oscura valle, vide la divota