Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/162

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gli venisse, ove tu la persona e l’avere per lui disponessi -. Ma dopo questo, volendo a Filocolo parte del suo buon volere dimostrarli, con seco in una camera solo il chiamò, e quivi amenduni postisi a sedere, così cominciò con lui a ragionare:

- Giovane, per quella fé che tu dei agl’iddii e per l’amore che tu porti a me, aprimisi la tua nobiltà, acciò che io, di quella pigliando essemplo, possa nobile divenire. Io vidi già ne’ miei dì molti nobili uomini, chi per antico sangue, chi per infiniti tesori, chi per be’ costumi, e chi per una maniera e chi per un’altra; ma e’ non mi soviene che io mai così nobile cosa, come tu se’ vedessi. Che operai io mai, o che potrei per te operare, che un tanto e tale dono mi si convenisse? Io porto oppinione che tu trapassi di piacevolezza e di cortesia tutti gli uomini del mondo -. A costui rispose così Filocolo: Signor mio, non vogliate me rozzo ancora ne’ costumi con queste parole schernire. Io non seguo nobiltà di cuore in queste operazioni, però che non ci è, ché io sono di picciola radice pianta, ma ricordomi d’avere già così veduto fare a mio padre, i cui essempli io seguito: e similmente conosco che io non potrei mai fare tanto che alla vostra nobiltà aggiugnere potessi, o che d’onore a quella più non si convenisse. Ma voi mi porgete ammirazione col dire che mai per me non operaste, perché questo io operare dovessi. Ora crediate che se la mia vita più tempo si lontanasse che quella di Dandona o di Zenofanzio non fece, mai della memoria mia non si partirà l’essere per la vostra benignità vivo, come già oggi udiste ch’io riconosco. E quando questo non fosse stato, sarebbe inlicita