Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/241

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tra il Cervio e Filocolo era quasi per diamitro posto un altissimo pino, nella stremità del cui duro pedale il dardo percosse, e con la sua foga un pezzo della dura corteccia scrostò dell’antico piede, egli e ella assai a quello vicini cadendo: alla quale sangue con dolorosa voce venne appresso, non altrimenti che quando il pio Enea del non conosciuto Polidoro, sopra l’arenoso lito, levò un ramo, e disse: O miserabili fati, io non meritai la pena ch’io porto, e voi non contenti ancora mi stimolate con punture mortali! Oh felici coloro, a cui è licito il morire, quando quello adimandano! -. E qui si tacque. Questa voce il veloce corso di Filocolo e de’ suoi compagni, quasi tutti pieni di paura e di maraviglia, ritenne, e quasi storditi stavano riguardando, non sappiendo che fare; ma dopo alquanto Filocolo con pietosa voce così cominciò a dire: O santissima arbore, da noi non conosciuta, se in te alcuna deità si nasconde, come crediamo, perdona alle non volonterose mani de’ tuoi danni: caso, non deliberata volontà, ci fece offendere. Purghi la tua pietà il nostro difetto, i quali presti ad ogni satisfazione, temendo la tua ira, siamo disposti -. Soffiò per la vermiglia piaga alquanto il tronco, e poi il suo soffiare convertendo in parole, così rispose: Giovani, niuna deità in me si richiude, la quale se si richiudesse, i vostri pietosi prieghi avrieno forza di piegarla a perdonarvi: dunque, maggiormente me, il quale sanza forza di vendicarmi dimoro, disideroso della grazia non tanto degli uomini, quanto ancora delle fiere, con ciò sia cosa che ciascuna nuocere mi possa, e nuoccia tal volta, né io possa ad alcuno nuocere; però bastimi il vostro pentere per satisfazione, né