Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/247

Da Wikisource.

noi, dimorò, che abandonata la semplice giovane e l’armento, ritornò ne’ suoi campi, e quivi appresso noi si tirò, e non guari lontano al suo natale sito, la promessa fede a Gannai, ad un’altra, Garemirta chiamata, ripromise e servò, di cui nuova prole dopo poco spazio riceveo. Io semplice e lascivo, come già dissi, le pedate dello ’ngannatore padre seguendo, volendo un giorno nella paternale casa entrare, due orsi ferocissimi mi vidi avanti con gli occhi ardenti, disiderosi della mia morte, de’ quali dubitando io volsi i passi miei, e da quella ora in avanti sempre l’entrare in quella dubitai. Ma acciò che io più vero dica, tanta fu la paura, che, abandonati i paternali campi, in questi boschi venni l’apparato uficio ad operare: e qui dimorando, con Calmeta pastore solennissimo, a cui quasi la maggior parte delle cose era manifesta, pervenni a più alto disio. Egli un giorno riposandosi col nostro pecuglio, con una sampogna sonando, cominciò a dire i nuovi mutamenti e gl’inoppinabili corsi della inargentata luna, e qual fosse la cagione del perdere e dell’acquistare chiarezza, e perché tal volta nel suo epiciclo tarda e tal veloce si dimostrasse; e con che ragione il centro del cerchio il suo corpo portante, allora due volte circuisce il differente, il suo centro movente intorno al piccolo cerchio, che l’equante una; e da che natura potenziata la virtù dell’uno pianeto all’altro portasse, e similmente i suoi dieci vizi, seguendo di Mercurio e di Venere con debito ordine i movimenti. E appresso con dolce nota la dorata casa del sole disegnò tutta, non tacendo de’ suoi eclissi e di quelli della luna le cagioni, mostrando come da lui ogni