Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/256

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nella memoria avuta t’avessi, quando in generalità male di voi parlai, te avrei dello infinito numero delle ingannatrici tratta; ma in verità e’ mi pare ciò che di te ho udito maggiore maraviglia che il sentirmi in questa forma ove mi vedi. Ma se la fortuna lungamente pacifica teco viva, dimmi, che è di quel Florio, che tu tanto ami e che te più che sé ama, sì come la fama rapportatrice ne conta? -. Rispose Biancifiore: Il mio Florio ha infino a ora teco parlato, e è qui meco: e come mi potrei io sanza lui dire felice e con la fortuna pacificata? -. - O felicissima la vita tua! - disse il tronco, - molto m’è a grado, e assai me ne contento, che voi, che già tanto foste infortunati, ora contenti stiate, pensando ch’io possa prendere speranza di pervenire a simile partito de’ miei affanni -.

Già i corpi percossi dal tiepido sole porgevano lunghe ombre, e Febeia si mostrava in mezzo il cielo, andante alla sua ritondità, quando, Biancifiore non più parlante, Filocolo disse: O Idalogo, dinne, per quella fede che tu già ad amore portasti, come a’ tuoi orecchi pervenne la nostra fama, con ciò sia cosa che appena ne’ nostri regni credevamo che saputi fossero i nostri amori? -. A cui Idalogo così rispose: Come in queste parti i vostri fatti si sapessero m’è occulto, ma come io li sappia vi narrerò. Sì come voi vedete, io porgo con le mie frondi graziose ombre dintorno al mio pedale, e il suolo di fiori e d’erbe ogni anno s’adorna più bello che alcuno altro prato vicino: per la qual cosa i miei compagni, sì per conforto di me che d’udirgli mi dilettava, sì per riposo e diletto di loro medesimi, qui sovente soleano venire, e nelli loro ragionamenti dire quelle cose le quali mancamento