Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/268

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atta alle cacce che ad amare, però quello uficio si prese. E come di queste diciamo, così di Venere possiamo dire, la quale se bella come si canta fosse stata, saria sì piaciuta ad Adone, che egli pauroso di perdere per morte sì bella dea, avria i suoi sani consigli seguiti. E similemente possiamo di molte altre dire quello che di noi non avviene. Io, bellissima, continuo bella nella mia forma mi mostro, né cambio viso né figura perch’io cambi stagione; né patisco eclissi come la luna fa, né mi nocciono i nuvoli d’austro, né i rischiaramenti d’aquilone mi giovano come ad Appollo e a Giunone fanno, anzi, e con questi e sanza quelli, continuamente bella dimoro. Né similemente mai al viso d’alcuno riguardante mi nascosi, né mi nasconderei, ma sentendomi com’io sento bella, mi diletto da molti essere amata e guardata. Io non comandai, né pregai, né consigliai mai cosa ch’ella non fosse con sollecitudine messa in effetto e osservata: dunque, più tosto io che alcuna delle sopradette sono da essere chiamata dea". E qui si tacque.

Da poi che Asenga tacque, Airam, quasi non meno che la prima superba, lodandosi oltre modo, cominciò a parlare seguitando: "Voi la impotenza degl’iddii e ’l difetto delle loro bellezze biasimate, cosa da non sostenere in sì alto nome sanza effetto: ma più di loro mancanza vi narrerò. Essi, sì come voi sapete, delle future cose veridici proveditori si fanno, di quelle porgendo risponso a’ dimandanti, aggiugnendo che le presenti sanza mezzo conoscono, e in memoria ritengono le passate. Ma questo non è vero, e però non si dee sostenere: se, come già si disse, avessero forza, gli oltraggi