Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/272

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lasciai sanza vita. Quale vendetta mai di questo si vide? Niuna certo: e perché? Perché la potenza della parte offesa non era tale, e le vendette seguono i meno possenti. Io tale quale sia essa non la curo: e cessi del mio petto che io mai più in tale errore viva, che dii o dee creda che sieno o li coltivi o porga prieghi. Noi siamo dee, e quelli uomini che ci piacciono nostri iddii: e quali celesti regni più belli che questi nostri si poriano trovare? Noi siamo tra quelle cose di che coloro, i quali l’errore rustico chiama iddii, si tengono signori. Chi dubita che miglior partito ha chi nella sua città guarnito dimora, che chi di lontano agognando se ne chiama signore? Noi belle, noi savie, noi possenti siamo e saremo quanto il secolo si lontanerà, e degne di quello onore che Giove e gli altri ingiustamente s’hanno usurpato".

Tacque costei; e già la seconda volta nell’usato ordine ricominciavano il maladetto parlare con più aspre parole, quando gl’iddii, né più né meno che i cittadini della città, le cui mura subito sono assalite dal nascoso agguato de’ nemici, corrono or qua or là sanza ordine, e con fretta ora entrando ora uscendo delle case prendono l’arme e cercano sanza troppe parole la loro difesa, correndo a’ dubbiosi luoghi, fecero, fra’ celesti scanni da subita ira commossi, forse non meno infiammati che quando dal bestiale ardire de’ Giganti fu il cielo assalito. Li quali così corsi dierono pauroso suono e chiusero il mondo d’oscure nuvole, né a niuno vento fu tenuta la via: e crucciati tutti discesero sopra questo luogo, la cui ira temendo la terra tremò forte. Ma essi lasciato il furore, si dice che prima Venere con Cupido in questo luogo entrarono, né